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Reportage

Il viaggio in India

Il viaggio in India è un viaggio speciale. Tutti tornano a casa con un po’ di nostalgia e tanti sono quelli che decidono di tornarci per una seconda volta: per vedere un’altra zona del paese o per cercare di comprendere l’affascinante caos dell’India. Nel nostro viaggio di Capodanno, Axel ha accompagnato un gruppo di viaggiatori in un tour tra le più significative località del Rajasthan, New Delhi, Agra e l’incredibile Varanasi.


 
Il nostro tour è iniziato con la visita del Complesso di Qutb, un insieme di monumenti antichi oggi sito Unesco a Mehraul, appena fuori Delhi. Questo è il più alto minareto in mattoni del mondo e un importante esempio di architettura indo-islamica: 72,5 metri, con una base larga 14,3 metri ed una sommità di 2,7 metri. Ci siamo poi diretti a Jaipur per giungere dopo 266km (circa 5h) nella capitale dell'omonimo distretto nello stato del Rajasthan, dove siamo stati accolti da una colorata festa stile Bollywood a 100 megawatt!

Nello stato del Rajasthan, abbiamo visitato il Forte Amber, splendida fortificazione della dinastia musulmana che domina la valle circostante con vedute mozzafiato. Per raggiungerla abbiamo utilizzato dei pitturati (e quanto meno pittoreschi) elefanti che ci hanno gentilmente sballonzolato fino in cima. La visita poi è proseguita per raggiungere, dopo un giro in città, il suggestivo tempio delle scimmie dedicato al dio-scimmia Hanuman. Qui entelli e bertucce (macachi) scorrazzano libere in un tempio quasi in abbandono, in una situazione che non fa che aumentarne il fascino.

Il quarto giorno ci siamo rimessi in marcia in direzione di Agra, spostandoci verso NE ed attraversando parte del Rajasthan; come prima tappa ci siamo diretti ad Abhaneri, dove si trova il pozzo a scale del Raja Chand, ovvero il Chand Baori. Costruito un millennio fa dal sovrano, è uno dei più grandi pozzi al mondo: conta più di 3500 elevati scalini in perfetta simmetria, che scendono i 13 piani e 20m di profondità della struttura. Anticamente erano costruiti nelle zone aride per accedere ad una fonte d'acqua tutto l'anno. Al fianco del pozzo si trova un tempio danneggiato dagli invasori turchi: pilastri, colonne e statue sono talvolta adagiati a terra, ma la bellezza del Harshat Mata, dea della felicità e gioia che dà nome alla città (originariamente Abha Nagri o "città della luminosità", ed oggi Abhaneri) è intatta.
 
130 km dopo si trova invece Fatehpur Sikri "città della vittoria", fortificata nel 1569 dal grande imperatore Moghul Akbar in cima ad una cresta rocciosa: lunga 3 km ed ampia 1 è chiusa da mura e da un lago. Purtroppo a causa della mancanza d'acqua il complesso venne presto abbandonato mantenendosi però perfettamente fino a oggi.

Il quinto giorno di viaggio lo abbiamo trascorso ad Agra, nella nebbia mattutina e nel sole pomeridiano: Agra è l'icona dell'India, ospitando una delle meraviglie contemporanee del mondo ed il monumento simbolo del paese: il Taj Mahal. Pegno d'amore e memoria per una delle sue 73 mogli, questo mausoleo venne eretto dal Gran Moghul Shah Jahan per la defunta Mumtaz Mahal (Taj significa palazzo e Mahal è il nome appunto della moglie), e non comprende solamente la struttura in marmo bianco circondata dai quattro minareti, ma anche una moschea, i giardini, le fontane, i portali decorati d'accesso e la casa degli ospiti. Si attraversano tutti questi per trovarsi di fronte alla sua bellezza, e vi si giunge attraverso una scorrevole coda (ed attenti controlli di sicurezza). Pochi sanno che oltre il sacro fiume Yamuna, che scorre alle sue spalle, il progetto avrebbe previsto un secondo palazzo, nero, per l'Imperatore stesso, mai costruito. Dopo questa visita ci siamo diretti al forte di Agra, del 1500, massiccio e colorato del rosso della pietra locale e del bianco del marmo, non è un forte ma uno splendido palazzo fortificato nonché la prigione dorata dell'Imperatore Shah Jahan. Da qui egli osservò infatti il completamento del testamento alla sua favorita, morta dandogli un figlio, il Taj Mahal, mentre il suo terzogenito prendeva il potere, uccideva colui che aveva scelto come successore, e metteva fine al grandioso progetto... la struttura, dal raggio di 3km e circondata da mura alte 21m, è un esempio di squisita arte Moghul, con palazzi, moschee e grandiose corti.

Con il primo volo del giorno per l'Uttar Pradesh, abbiamo raggiunto il cuore dell'Induismo, l'anima dell'India: l'incredibile città di Varanasi. Descriverla è impossibile, si può solo darne una vaga idea... il traffico, per esempio, è surreale: ci si sente come delle formiche nel più affollato dei formicai, dove tutto scorre e nessuno si scontra, tutti suonano il clacson ma nessuno si innervosisce o perde la calma, dove non ci sono specchietti retrovisori ma non si viene mai urtati. E' come se il Gange non scorresse solo a fianco della città, ma dentro essa stessa.

Nel pomeriggio abbiamo continuato la navigazione della città, ma stavolta sul fiume, per assistere alla cerimonia serale del Ganga Aarti (che si celebra anche nelle città di Haridwar e Rishikesh), ovvero un rituale indù dedicato alla Dea Madre Ganga, sul Dasaswamedh Ghat: viene eseguita una puja, o offerta, con petali, fumo e canti e suono di campanelli, in una atmosfera mistica e grande partecipazione di cittadini e pellegrini. Enormemente coinvolgente è poi dirigersi al Ghat di Manikarnika, il più antico dove si svolgono le cremazioni, avvicinandosi con la barca alla sponda per osservare con rispetto, da una certa distanza, le pire e le "processioni" di familiari. E’ un'esperienza forte: coinvolgente, silenziosa ed impressionante, non può che lasciare sempre tutti senza parole, bloccati per interiorizzare mentre la guida spiega nella barca il significato e la prassi dei rituali. Poi si rientra in hotel, e ci si dorme su... la mattina seguente, prima dell'alba, ci si alza per raggiungere il Gange e gli stessi Ghats con il primo sole (o nebbiolina nel nostro caso), per navigare guardando i riti mattutini di bagno nel fiume sacro dei tanti pellegrini, in grado di "sfidare" di fronte ai nostri occhi un po' preoccupati, il gelo del vento e dell'acqua marmata, così come la salubrità della stessa, pur di lavare via i peccati del corpo e dello spirito. Si approda poi poco distante tra cataste di legna alte come montagne e si prosegue a piedi. Se Varanasi ha sorpreso fino a quel momento, non manca di lasciare senza parole anche nei suoi stretti vicoli labirintici, pieni di piccoli altari hindu, templi nascosti tra le case, minuscoli negozietti, vecchie tende sporche che coprono il poco cielo aperto dove i tetti sono dominati dalle bertucce, vacche sacre in cerca di ortaggi lungo la strada. Le pietre si alternano alla terra battuta, ai pellegrini si sostituiscono gli abitanti o i poliziotti negli incroci qua e là, che ti guardano placidi accanto ai fuochi (accesi con pochi tronchi in mezzo alle stradine) dove si raccolgono per non sentire la pungente umidità mattutina.

Abbiamo poi percorso i 13km che dividono Varanasi (Benares per gli inglesi) e Sarnath, per osservare con i nostri occhi la Stupa (monumento religioso, non esattamente un tempio) eretta nel luogo dove Buddha pronunciò il suo primo sermone dopo l'illuminazione. Quella attuale risale al VI sec. d.C., sostituendo l'originale del III sec. a.C., costruita solo 300 anni dopo la presenza e le parole di Siddhartha Gautama (nona delle dieci incarnazioni di Vishnu per gli Induisti). La Dhamek Stupa è un cilindro dalla base più ampia, una sorta di campana rovesciata, alta più di 43m ed ampia 28, costruita in mattoni e "piena" ovvero senza ambienti o spazi all'interno di essa; all'esterno è decorata da bassorilievi geometrici intricati e antropomorfi, fitomorfi e zoomorfi.

Lasciata Varanasi ci siamo diretti verso l’ultima tappa del nostro tour: Nuova Delhi, una metropoli che difficilmente si esaurisce in poche ore, tale è la dimensione, gli abitanti, tanti sono i monumenti; il tour panoramico la presenta bene: ampi viali, grandiosi spazi monumentali, giardini, ambasciate, traffico (meno caotico che altrove) e intricati quartieri. Abbiamo visto dalla distanza l'India Gate nel cuore della città presso il Parlamento, enorme e maestoso arco risalente al '33 e memoriale della Prima Guerra Mondiale e dei numerosi soldati indiani caduti, impossibile da raggiungere per le massicce misure di sicurezza poste in essere alla vigilia della festa della Repubblica del 26 Gennaio e delle sfilate incombenti; per lo stesso motivo siamo sfilati di lato al Raj Ghat, memoriale all'aria aperta, dentro un parco, alle grandi figure dello stato del passato dell'India ed in particolare di Mahatma Gandhi, padre della nazione. Poi, sempre spazio aperto, abbiamo raggiunto la Moschea del Venerdì o Jama Masjid, dove scalzi abbiamo sfruttato i tappeti distesi per la precedente preghiera, attualmente la più grande moschea dell'India, risalente alla metà del XVII sec. da cui si gode di un bel panorama della restante città. Di li, comodi rickshaws ci hanno portato quindi ad osservare la "vecchia" Delhi, ovvero le strade strette dei vecchi quartieri, inglobati nella grande metropoli moderna: la differenza con Varanasi è enorme, il traffico, gli spazi, i rumori ed i profumi sono completamente differenti, le strade più ariose, i piccoli locali a bordo della "carreggiata" più puliti ed "occidentali", i toni più soffusi anche se avvolgenti. Infine ci siamo recati alla tomba di Humayun, il bellissimo complesso che ha ispirato il Taj Mahal e che ancora oggi, al centro di un grandissimo parco, non può che ispirare i turisti come noi: mausolei di differenti ere, lunghi viali ed alberi secolari introducono questa struttura quadrata centrale su cui domina il mausoleo ben proporzionato utilizzato principalmente dagli imperatori Mughal e dove si concluse la dinastia quando nel 1857 il tenente Hudson vi catturò l'ultimo regnante. Ripidi gradoni concedono una vista mozzafiato, distensiva e, finalmente davvero rilassante...
 
L'ultimo giorno non ci è rimasto quindi che recarci al più grande tempio hindu del mondo, inaugurato nel 2005, raccogliente al suo interno 10.000 anni di storia indiana tra statue, altorilievi, reliquie e saggezza antica (purtroppo non è permesso farvi foto), al grande tempio sick Gurudwara Bangla Sahib, centro di pellegrinaggio dal 1700 laddove dove l'ottavo degli otto guru Sikh giunse ad otto anni a Delhi e venne accolto dal Raja. Qui il bambino curò migliaia di malati con acqua sacra, ed ancora oggi i sick si bagnano i piedi nell'acqua corrente prima di entrare, memori dei miracoli di una delle figure fondamentali del loro credo.

A piedi nudi e con rispetto pochi audaci hanno affrontato la fresca aria umida di un tempo poco collaborativo per osservare gli interni dorati quanto la cupola che li sovrasta, continuando a gioire della gentilezza, accoglienza e serenità di questo grande mondo distante, affascinante e coinvolgente che è il continente indiano.

Axel Castigli,
Febbraio 2017
 


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